Come anticipato nel precedente articolo, oggi ci concentreremo sull’opera manifesto del Movimento Decostruttivista, sita nell’Avenida Abandoibarra a Bilbao, in Spagna.
Si tratta del Guggenheim Museum, progettato dall’architetto Frank Owen Gehry. E’ il simbolo del processo di rinnovamento architettonico che ha rivoluzionato la città spagnola, in grado di farlo diventare una delle principali attrattive del luogo.
Il Guggenheim Museum di Bilbao: nascita di un sedizioso sogno kitsch
Il lavoro venne commissionato da Thomas Krens, direttore in quegli anni della Solomon R. Guggenheim Foundation, proprietaria del Guggenheim di New York. La politica di Krens, oltre ad investire fondi in esposizioni temporanee e itineranti, prevedeva la creazione di due centri fissi a Berlino e Bilbao.
Proprio per questa sede venne richiesto l’intervento di Frank Owen Gehry. Si inscenò, nel 1990, un concorso internazionale di facciata, che vide una scontata vittoria dell’architetto a discapito di Isozaki e dello studio Coop Himmelblau.
L’idea originale di Krens era riqualificare, con una profonda ristrutturazione, un vecchio museo già esistente ma Gehry preferì abbandonare l’edificio, per lasciare libero spazio alla sua creatività.
L’architetto decise, così, di disegnare una nuova struttura grazie al software Catia e sussidi di calcolo modernissimi. La localizzazione scelta fu un vecchio terreno industriale, a nord del centro urbano, che costeggiava la Ria de Bilbao. Lo scopo era rendere visibile il museo da tutti i punti strategici della città e rivalutare l’impatto urbanistico.
I lavori terminarono nel 1997 e, nell’ottobre dello stesso anno, l’opera venne inaugurata sotto gli occhi delle personalità più influenti nel mondo culturale, compreso il re di Spagna. Il progetto ha ricevuto il Premio Internazionale Puente de Alcantara nel 1998, destinato all’opera pubblica che riesce a coniugare valore culturale, tecnologico, estetico e sociale.
L’impatto transmediale del progetto
Il lavoro di Gehry si tradusse in uno straordinario clamore mediatico, che mise l’artista sotto i riflettori delle televisioni internazionali. In particolare, il regista Pollack rimase affascinato dalle abilità espressive dell’architetto e, dopo aver visionato questa ultima fatica, decise di realizzare un documentario monografico dal titolo “Frank Gehry – Creatore di sogni” , datato 2005.
Nello stesso anno andò in onda una puntata de “I Simpson”, che vedeva protagonista proprio Gehry, trasformato in cartoon per l’occasione. Matt Groening, il creatore della serie, decise di scrivere un canovaccio, secondo cui l’artista costruiva l’auditorium di Springfield (cittadina immaginaria in cui è ambientata la storia) a partire da un foglio accartocciato che aveva gettato a terra.
Il potere di questa trasposizione fu così forte da far credere alle masse che la creazione delle forme scomposte del Guggenheim fosse avvenuta grazie a questo gesto distratto. La falsa leggenda perseguita ancora l’artista, nel tentativo di ridurre a una mera casualità un atto creativo rivoluzionario.
Una struttura libera dall’influenza contestuale
Il Guggenheim di Gehry si conferma emblema della scomposizione in unità volumetriche, riassemblate secondo criteri fluidi, e apparentemente illogici, tipici dell’estro di questo artista. Nuove alchimie stranianti si manifestano, rigettando l’influenza del contesto in cui la struttura si erge.
Il paesaggio urbano circostante, infatti, non condiziona più il risultato finale ma, al contrario, è il Guggenheim che va a scegliere gli elementi ambientali con cui vuole rapportarsi. Il fiume Nerviòn, ad esempio, che si snoda nello stesso terreno, sembra trasformarsi in una componente accessoria all’edificio.
Le modalità di costruzione volute dall’artista sembrano essere un’ulteriore riprova dell’estraneità al contesto circostante. L’involucro è composto da trentamila lastre in titanio proveniente dall’Australia e lastre laminate decapate in Gran Bretagna. Il tutto è sorretto dal cemento della “Cementos Rezola of Arrigoriaga” la filiale spagnola della Italcementi Group, di matrice italiana.
Esterni da veliero
Questo gioco tra formalismo e contenuto immaginifico viene reso possibile dalla totale assenza di superfici piane nell’intera struttura. La linea obliqua, marchio di fabbrica dell’architetto, ritorna imponendosi con eloquente autoreferenzialità.
I pannelli in titanio, inoltre, sono posizionati in lamine spesse tre millimetri, in modo da ricordare le squame di un pesce. Un altro materiale sfruttato ad arte, per creare questa composizione, è la pietra calcarea di Granada, in segmenti con spessore di cinque centimetri, uniti al cristallo, che avvolge con 2500 lastre la struttura.
Tutto cambia, però, se si modifica la prospettiva da cui si osserva il museo. Visto dall’alto, infatti, il Guggenheim si erge come un bellissimo fiore di loto.
Un laghetto artificiale circonda in parte il museo e diventa esso stesso una installazione artistica, considerando che contiene la “Fontana di fuoco e Nebbia” realizzata da Yves Klein. A pelo d’acqua sono posizionati dei bruciatori che creano incantevoli effetti fiammeggianti.
Una grande terrazza, sorretta da un pilastro in pietra, va a sovrastare il lago, mentre il Ponte de La Salve permette di portare i visitatori al museo attraversando il fiume. Una rampa, poi conduce i pedoni ad una torre, irregolare e ripetitiva.
L’entrata principale instaura, di contro, un legame con la città essendo situata nella parte terminale di un viale che conduce al centro storico di Bilbao. Possiamo dire, in estrema sintesi, che gli esterni siano un omaggio alla città portuale in cui l’opera si trova.
La porzione interna
Al centro, un incredibile atrio di 650mq alto 50 metri che diviene il punto focale del museo. L’illuminazione naturale è favorita dalle ampie vetrate con affaccio sul fiume, che permettono alla luce di circolare indisturbata in questo grande spazio. Il soffitto ospita un’imponente cupola in metallo che ricopre questo ambiente. Dal punto centrale ci si sposta nelle Nove Gallerie, ricavate da porzioni di pietra irregolari, e altre dieci che ripropongono il titanio dell’esterno. La “viabilità” è favorita da ascensori e ponteggi.
Il caos kitsch concepito dall’architetto, dunque, sembra trovare un suo significato grazie all’estrema funzionalità delle porzioni interne, da cui si accede anche alla terrazza precedentemente citata.
L’edificio, nel complesso, si sviluppa su tre livelli comunicanti dove, un quarto livello, viene concepito per ospitare l’impianto di condizionamento. Questo spazio estroverso da vita a una nuova concezione architettonica che assoggetta lo sguardo a campi artistici sognanti.