Come anticipato nel precedente articolo, oggi viaggeremo fino in Spagna, sul Ronda Litoral,  per scoprire l’opera manifesto del Movimento Moderno. 

Si tratta del Padiglione di Barcellona, capolavoro del periodo europeo dell’architetto Ludwig Mies van der Rohe, in grado di segnare un punto di non ritorno nell’esecuzione architettonica e nella tecnica di questa disciplina.

Il Padiglione di Barcellona: nascita di una rivoluzione nell’arte di costruire moderna

bozza del progetto del padiglione di Barcelona di Ludwig Mies Van der Rohe

Bozzetto del Padiglione di Barcellona

Il padiglione tedesco, meglio noto come Padiglione di Barcellona, è espressione degli anni d’oro della Bauhaus, prima che giungesse al termine a causa dell’ascesa nazista. 

A seguito del successo del Werkbund, esposizione di Stoccarda del 1927, il governo tedesco decise di affidare a Ludwig Mies van der Rohe la realizzazione di una struttura che potesse ospitare il padiglione della Germania all’Esposizione Universale del 1929.

Il lavoro venne commissionato all’architetto nell’estate del 1928 e, nonostante il poco tempo a disposizione, riuscì a completarlo con un’incredibile rapidità e un’accuratezza unica nel suo genere.

Mies decise di cambiare localizzazione rispetto a quella assegnata alla sua opera, allontanandola dalle due grandi costruzioni (Palazzo Nazionale e Palazzo Alfonso XIII) entro cui avrebbe dovuto incastrarla. La soluzione di spostarla risultò vincente: la struttura si ergeva con imponenza nel verde, rendendola più visibile a grandi distanze.

Il Padiglione venne smembrato nel gennaio del 1930, alla fine dell’Esposizione, con lo scopo di riutilizzare parte degli elementi per future costruzioni in Germania. Nel 1980 però, il consiglio cittadino di Barcellona, lavorò per farlo ricostruire. Fu riedificato da un gruppo di architetti spagnoli tra il 1983 e il 1986, a seguito di uno studio meticoloso tra foto e materiali. 

Oggi l’edifico sopravvive, continuando a rievocare le atmosfere e lo splendore di quel tempo, ed è tuttora visitabile.

La pianta libera

Vista esterna lato strada del Padiglione di Barcellona progettato da Ludwig Mies Van der RoheIl fascino immaginifico di questa struttura consiste nell’essere un’estrema sintesi del pensiero dell’Archistar: incarna lo spirito del suo tempo, grazie alla parsimonia e alla coerenza dei dettagli. 

L’anima della costruzione architettonica, infatti, consentiva al sentiero pedonale dell’Esposizione di proseguire indisturbato all’interno del Padiglione, dove i visitatori vagavano tra confini incerti. La pianta aperta rettangolare, permessa dalle strutture in acciaio indipendenti dai tramezzi, facilitava la transizione tra interno ed esterno.  

Il Padiglione consisteva in due piani orizzontali in travertino: il più piccolo sollevato rispetto al più grande grazie agli emblematici pilastri a croce in acciaio cromato. Tra i due piani, il nucleo era costituito dal cosiddetto “curtain wall”. Si trattava di pareti non portanti a facciata continua in marmo di Vert, onice color miele e vetro grigio, che sembravano terminare l’una dietro l’altra.

Il basamento del padiglione era concepito per rievocare l’immagine del tempio romano sviluppato in un podio orizzontale, con il tetto piano, sorretto da otto pilastri. Il classico faceva a pugni con la modernità esibita dalle lastre in vetro, creando un suggestivo effetto di grande rilevanza estetica, unita alla sua varietà litica. 

Esterni d’autore e specchi d’acqua

Vista esterna lato piscina del padiglione di Barcelona progettato da Mies Van der RoheAll’esterno della struttura il visitatore poteva vedere una terrazza in travertino ma soprattutto uno specchio d’acqua riflettente. Consisteva in una grande vasca rettangolare che sembrava incassata, merito di un sapiente uso delle lastre della pavimentazione, tali da imporre una continuità visiva.

L’estensione della vasca proseguiva verso sud-est ed era realizzata sempre in travertino, proprio come le panche sul lato lungo dell’edificio. Una seconda vasca più piccola si trovava a nord ed era circondata da un muro in marmo con finitura levigata. Nella seconda vasca, quasi come se riemergesse dalle acque, si trovava la famosa statua in bronzo di George Kolbe. Intitolata “Mattino”, la scultura era stata concepita per avere una compagna: “Sera”, che venne scartata da Mies Van Der Rohe.

Il design degli interni: l’essenza del “Less is more”

L’espressione libera dagli eccessi si riverbera anche negli interni, ove il minimalismo formale si esprime attraverso un accurato lavoro di sottrazione

Vista degli interni minimal del Padiglione di Barcelona

Per accedere nella struttura, gli ospiti potevano servirsi di un corridoio stretto dove la parete destra era in vetro mentre quella sinistra in marmo. Per entrare occorreva una svolta di 180°. Superato il corridoio il visitatore veniva accolto da una profonda asimmetria che terminava in un momento di sorprendente linearità, fatta di colonne sottili in acciaio con sezione ad X.

Lo spazio centrale era dominato da un blocco di onice dorato dell’Atlante, lungo cinque metri e mezzo e alto tre. Per Mies sono state proprio le dimensioni della pietra a determinare l’altezza dell’interno. La lastra davanti a sé vedeva posizionate due sedute su un tappeto nero, con la luce filtrante da una tenda in seta rossa.

Sono le famose “Poltrone Barcelona”, uno degli unici oggetti d’arredamento contenuti all’interno. Mies Van Der Rohe insistette che fossero solo due, da adibire a troni per il Re e la Regina di Spagna. Sono realizzate in metallo con cuscini in capretto bianco e velluto pesante. Accanto alle poltrone, un tavolo ospitava il libro d’oro del re.

Sul retro delle sedie, una parete di vetro opalescente svelava la corte scoperta che ospita la vasca d’acqua più piccola. Un varco conduceva all’area che racchiude la piscina principale. Seguendolo il visitatore poteva rientrare nello spazio centrale, oppure intraprendere la strada del ritorno, attraverso il giardino, per raggiungere il Villaggio Spagnolo tramite una scalinata.

Ultima osservazione: appare chiara la quasi assenza di elementi, dove i materiali assolvono una funzione decorativa oltre che strutturale. Di fatto i Tedeschi, non esposero nulla se non l’edificio stesso, per esibire il livello di avanzamento tecnologico che ne decretava il primato.